11 marzo 2009

Per il Wall Street Journal il calcio italiano è il più malato d'Europa

Il calcio italiano finisce in prima pagina sul Wall Street Journal, ma per le ragioni sbagliate: sebbene il football sia parte dell'identità del nostro paese quanto la pasta, l'opera e i film di Fellini, scrive il quotidiano finanziario americano, la serie A sembra sempre di più il "malato d'Europa", un campionato deludente nel gioco, con spettatori in calo costante, società indebitate e risultati spesso insoddisfacenti in campo internazionale. Come è possibile che la nazione che appena tre anni or sono ha prodotto i campioni del mondo in carica sia caduta così in basso?

"Il football italiano è in uno stato di declino da molto tempo", dice al Journal John Foot, docente di storia moderna italiana all'University College London e autore di un libro sulla serie A. "L'Italia non ha modernizzato il proprio stato, la propria economia, la propria società e il proprio sport nazionale, per cui non è sorprendente che il calcio abbia perso terreno rispetto ad altri paesi".

Il quotidiano di Wall Street ricorda che negli anni Novanta le squadre italiane dominavano l'Europa, apparendo otto volte nella finale di Champions League e vincendola due. I migliori giocatori del mondo, da Maradona a Zidane, volevano giocare in Italia. Oggi la destinazione preferita dei campioni è la Premier League inglese, con il suo gioco spettacolo che è un misto di velocità, agonismo e tecnica. I club italiani appaiono ai commentatori di altri paesi ancora legati a un modulo difensivistico ispirato dal vecchio "catenaccio". Così, dal 2000, le squadre inglesi sono andate in finale di Champions cinque volte, vincendo due volte il trofeo, mentre quelle italiane ci sono andate tre volte, vincendolo due. E l'anno scorso soltanto una squadra italiana è arrivata ai quarti di finale.

Interpellato dal Journal, Gianluca Vialli, ex-calciatore ed ex-allenatore in entrambi i paesi, ha una spiegazione di carattere storico-sociologico, che forse sarebbe piaciuta a Gianni Brera, per il tipo di calcio che si gioca da noi: "I britannici vivono in un'isola che ha conquistato e colonizzato il mondo. Gli italiani, dopo il crollo dell'Impero Romano, sono sempre stati invasi e dominati, sicché hanno dovuto imparare principalmente a difendersi". Ma non c'è bisogno di andare così indietro nel passato, osserva il giornale americano, per trovare altre ragioni della crisi del nostro calcio. Al di là delle differenze stilistiche, che non ci avevano impedito di stravincere negli anni Novanta, l'Italia paga ancora lo scotto dello scandalo delle partite truccate, costato due titoli alla Juventus e pesanti penalizzazioni a Milan, Lazio, Fiorentina. "Lo scandalo ha disilluso molti tifosi e ha fatto perdere a certa gente l'amore per il football", dichiara James Richardson, un telecronista britannico che ha seguito per dieci anni la serie A.

Un altro serio problema sono le infrastrutture antiquate: stadi troppo vecchi, nei quali è più difficile isolare e impedire la violenza dei fans, e in cui è impossibile ricavare la consistente fetta di guadagni che i club inglesi ricevono da ristoranti, negozi, perfino alberghi situati all'interno di modernissimi impianti. Con i posti tutti a sedere e una schiera di steward che accompagnano gli spettatori alla propria poltroncina, solitamente solo una mezz'ora prima dell'incontro, e grazie a norme severissime con pesanti punizioni per chi è colpevole di violenze, l'Inghilterra ha risolto il problema degli hooligan. I biglietti sono più cari che in passato, ma donne e bambini vanno alla stadio senza paura, e si registra quasi sempre il tutto esaurito, mentre gli stadi italiani mostrano ogni domenica settori desolatamente vuoti. Il numero di spettatori medio della serie A, sottolinea il Journal, è calato del 25 per cento nell'ultimo decennio, mentre in Inghilterra è aumentato del 18 e in Germania del 20. Alle partite del Manchester United, lo stadio si riempe mediamente al 95 per cento; a quelle dell'Inter, solo del 65 per cento.

L'articolo si conclude citando un ultimo motivo di crisi: la serie A gudagna meno della Premier League dai diritti televisivi perché i club li negoziano individualmente, anziché collettivamente come lega. Un sistema che promette di cambiare dal campionato 2010-2011, dice Simon Chadwick, professore di business dello sport alla Coventry University. Il Wall Street Journal ripete le recenti parole del presidente della Lega calcio italiana, Antonio Matarrese, secondo cui la serie A deve modernizzarsi, guardare al futuro ed eliminare le "mele marce". Vedremo se accadrà.

fonte: www.repubblica.it
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