E adesso una parte del futuro della Ferrari è nelle mani del caro nemico Jean Todt. Sì, proprio lui, quell'omino francese dai modi bruschi ma intelligente come pochi che in quindici anni di matrimonio con la Scuderia (dal 1993 al 2008) ha riempito la bacheca di Maranello di trionfi, facendo la felicità di Luca Montezemolo e dell'Italia ferrarista che alla fine è stata pronta a perdonargli tutto, anche di essere francese, e ad amarlo (ricambiata).
Ma il tempo passa velocemente (in Formula 1 ancora più velocemente che altrove) e stravolge tutto, equilibri e rapporti. Così l'uomo che nel prossimo Consiglio mondiale della Fia si troverà a decidere sulla correttezza dell'operato della squadra di Maranello ad Hockenheim non è nemmeno un lontano parente di quel Todt vestito di rosso, tutto fiero del suo Cavallino rampante cucito sul petto. E' un uomo di potere che, approdato alla scrivania più importante del suo mondo, ha forse raggiunto il punto più alto della sua parabola, con molte decisioni importanti da prendere ma anche con, in testa e negli armadi, un sacco di conti aperti da regolare. E molti di quei conti sono aperti proprio con la Ferrari. L'azienda con la quale, checché ne dicano entrambe le parti, dopo la stagione dei trionfi, si è lasciato in maniera abbastanza burrascosa (pur conservando rapporti formali impeccabili). Anche così si spiegò nel 2009, anno delle elezioni per l'attesa successione di Max Mosley (in quel momento nemico
della Ferrari), la sostanziale freddezza con cui gli uomini di Maranello appoggiarono la sua candidatura a presidente Fia e sempre così si spiegò il comportamento - molto istituzionale - con cui soprattutto all'inizio del suo mandato, Todt proseguì la politica di Mosley (sgradita ai suoi ex datori di lavoro).
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Ma il tempo passa velocemente (in Formula 1 ancora più velocemente che altrove) e stravolge tutto, equilibri e rapporti. Così l'uomo che nel prossimo Consiglio mondiale della Fia si troverà a decidere sulla correttezza dell'operato della squadra di Maranello ad Hockenheim non è nemmeno un lontano parente di quel Todt vestito di rosso, tutto fiero del suo Cavallino rampante cucito sul petto. E' un uomo di potere che, approdato alla scrivania più importante del suo mondo, ha forse raggiunto il punto più alto della sua parabola, con molte decisioni importanti da prendere ma anche con, in testa e negli armadi, un sacco di conti aperti da regolare. E molti di quei conti sono aperti proprio con la Ferrari. L'azienda con la quale, checché ne dicano entrambe le parti, dopo la stagione dei trionfi, si è lasciato in maniera abbastanza burrascosa (pur conservando rapporti formali impeccabili). Anche così si spiegò nel 2009, anno delle elezioni per l'attesa successione di Max Mosley (in quel momento nemico
della Ferrari), la sostanziale freddezza con cui gli uomini di Maranello appoggiarono la sua candidatura a presidente Fia e sempre così si spiegò il comportamento - molto istituzionale - con cui soprattutto all'inizio del suo mandato, Todt proseguì la politica di Mosley (sgradita ai suoi ex datori di lavoro).
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