"Mi spaventa il silenzio delle ragazze, mi spaventa quello che chiediamo alle atlete senza dare loro la possibilità di fare delle scelte, fondamentali per la loro vita". Il grido d'allarme è dell'ex olimpionica e mondiale di fiorettoDiana Bianchedi: lo sport non si prende abbastanza cura delle atlete donne.
Nell'ambiente medico sportivo si parla da qualche tempo di "triade dell'atleta". Cos'è?
"Si tratta di disturbi alimentari, amenorrea (il ritardo del ciclo mestruale per più di 90 giorni) ed osteoporosi. A volte il salto del ciclo è un problema grave, perché può indebolire le riserve di calcio delle ossa. La Federazione Internazionale di ginnastica, per esempio, ha proibito che l'età delle ragazze in gara fosse inferiore ai 16 anni e alle Olimpiadi a 17. Questo per evitare che il ciclo mestruale venga ritardato rispetto alla sua comparsa fisiologica. Ci sono sport nei quali sempre più spesso si verificano fratture da stress, senza che la disciplina ne giustifichi la comparsa".
Poca attenzione sulle donne?
"Solo da pochi anni ci si chiede il perché delle differenti prestazioni tra uomini e donne. Non esistono differenze nelle fibre muscolari per esempio, ma molte nella forza. Solo dagli anni '90 si studiano le questioni fisiologiche che sono alla base delle prestazioni sportive, come per la gravidanza...".
Nello sport si parla di "giro della morte" per intendere le spericolate azioni di alcuni sport.
"Il giro della morte, per le atlete donne, è la scelta di non smettere di prendere la pillola per non correre il rischio di trovarsi con le mestruazioni durante o prima di un appuntamento sportivo importante. La pillola non è solo un contraccettivo: modifica il quadro ormonale. Bisognerebbe essere in grado si sfruttare anche per l'allenamento questo cambiamento".
Servono allenatori con più cognizioni di medicina o medici più consapevoli delle necessità di una atleta?
"Serve uno staff. Servono persone consce di quello che vuol dire la pratica agonistica. Servono persone capaci di conoscere le necessità delle ragazze al di là delle questioni tecniche. Se io allenatore decido che tu atleta devi perdere peso, devo sapere che questo può comportare anche una modifica del tuo quadro ormonale, del ciclo mestruale. Ed allora tu atleta fai le stesse cose a fronte di queste modificazioni? La questione del peso, da qualche tempo, è al centro di prese di posizione a livello internazionale".
In America hanno lanciato una call action: "Attenzione sta per accadere qualcosa di insolito. Sapete come reagire?" Cosa sapeva Diana Bianchedi di se stessa come donna atleta durante la carriera?
"Mi sono laureata in medicina alla mia seconda Olimpiade (Atlanta) e mi sono specializzata durante la terza (Sidney). Questo vuol dire che probabilmente ero consapevole di quello che voleva dire fare sport per una donna. Mi riusciva anche di soddisfare le curiosità di alcune mie compagne. Poi l'infortunio al tendine ha ulteriormente aumentato la mia consapevolezza".
Lei ha detto che il corpo per un atleta è una sorta di "strumento di lavoro". Dunque bisognerebbe fare in modo di conoscerlo a fondo?
"Il problema vero è l'interesse che un atleta ha per il proprio corpo. Durante la carriera in genere un atleta cura poco il suo corpo rispetto alla questione tecnica, e allora diventa solo un mezzo per vincere. Poi lo stesso corpo appartiene ad un'altra persona, a quella che termina la vita agonistica. Ed allora lì nasce il problema: se hai addestrato il tuo corpo a stare bene a prescindere dalla tua carriera, è un bene che ti troverai a cinquant'anni. Gli atleti pensano sempre troppo ai dettagli: le scarpe, il colore della maglia, la fascetta per i capelli, l'arma, la racchetta, il pallone e via dicendo. L'esempio, in questo senso, è Michael Schumacher. È sempre stato considerato il più grande perché ha dedicato gran parte del suo tempo lavorativo alla messa a punto della macchina. Il corpo è una macchina che deve essere messa a punto sempre, come una Ferrari".
Sesso, figli, amore. Anche questo deve essere programmato da una atleta donna?
"Ci sono due aspetti da considerare. L'atleta e chi lavora con lei. Una atleta in genere non condivide con lo staff la sua vita sessuale, l'utilizzo dei contraccettivi per esempio. E troppo spesso gli allenatori, i dirigenti, non sono consapevoli e non si informano di quelle che sono le scelte che un atleta fa in questo campo. Eppure è importante.".
Oggi lei dirige un centro di riabilitazione post traumatica a Roma. Cosa direbbe ad una ragazza che inizia la carriera sportiva?
"Di chiedersi ogni giorno: come sto? Di conoscere il proprio corpo e la propria specificità".
Oggi lei è medico dello sport. Una passione giovanile o una scelta della maturità?
"Direi tutte e due. Da grande, quando già studiavo ginecologia, è successo che mi sono rotta il tendine d'Achille durante le Olimpiadi di Atlanta. Lì ho cambiato la mia specializzazione e mi sono avvicinata al mondo della riabilitazione. Così seguo le due mie passioni: lo sport ed il mondo femminile".
fonte: www.repubblica.it
Nell'ambiente medico sportivo si parla da qualche tempo di "triade dell'atleta". Cos'è?
"Si tratta di disturbi alimentari, amenorrea (il ritardo del ciclo mestruale per più di 90 giorni) ed osteoporosi. A volte il salto del ciclo è un problema grave, perché può indebolire le riserve di calcio delle ossa. La Federazione Internazionale di ginnastica, per esempio, ha proibito che l'età delle ragazze in gara fosse inferiore ai 16 anni e alle Olimpiadi a 17. Questo per evitare che il ciclo mestruale venga ritardato rispetto alla sua comparsa fisiologica. Ci sono sport nei quali sempre più spesso si verificano fratture da stress, senza che la disciplina ne giustifichi la comparsa".
Poca attenzione sulle donne?
"Solo da pochi anni ci si chiede il perché delle differenti prestazioni tra uomini e donne. Non esistono differenze nelle fibre muscolari per esempio, ma molte nella forza. Solo dagli anni '90 si studiano le questioni fisiologiche che sono alla base delle prestazioni sportive, come per la gravidanza...".
Nello sport si parla di "giro della morte" per intendere le spericolate azioni di alcuni sport.
"Il giro della morte, per le atlete donne, è la scelta di non smettere di prendere la pillola per non correre il rischio di trovarsi con le mestruazioni durante o prima di un appuntamento sportivo importante. La pillola non è solo un contraccettivo: modifica il quadro ormonale. Bisognerebbe essere in grado si sfruttare anche per l'allenamento questo cambiamento".
Servono allenatori con più cognizioni di medicina o medici più consapevoli delle necessità di una atleta?
"Serve uno staff. Servono persone consce di quello che vuol dire la pratica agonistica. Servono persone capaci di conoscere le necessità delle ragazze al di là delle questioni tecniche. Se io allenatore decido che tu atleta devi perdere peso, devo sapere che questo può comportare anche una modifica del tuo quadro ormonale, del ciclo mestruale. Ed allora tu atleta fai le stesse cose a fronte di queste modificazioni? La questione del peso, da qualche tempo, è al centro di prese di posizione a livello internazionale".
In America hanno lanciato una call action: "Attenzione sta per accadere qualcosa di insolito. Sapete come reagire?" Cosa sapeva Diana Bianchedi di se stessa come donna atleta durante la carriera?
"Mi sono laureata in medicina alla mia seconda Olimpiade (Atlanta) e mi sono specializzata durante la terza (Sidney). Questo vuol dire che probabilmente ero consapevole di quello che voleva dire fare sport per una donna. Mi riusciva anche di soddisfare le curiosità di alcune mie compagne. Poi l'infortunio al tendine ha ulteriormente aumentato la mia consapevolezza".
Lei ha detto che il corpo per un atleta è una sorta di "strumento di lavoro". Dunque bisognerebbe fare in modo di conoscerlo a fondo?
"Il problema vero è l'interesse che un atleta ha per il proprio corpo. Durante la carriera in genere un atleta cura poco il suo corpo rispetto alla questione tecnica, e allora diventa solo un mezzo per vincere. Poi lo stesso corpo appartiene ad un'altra persona, a quella che termina la vita agonistica. Ed allora lì nasce il problema: se hai addestrato il tuo corpo a stare bene a prescindere dalla tua carriera, è un bene che ti troverai a cinquant'anni. Gli atleti pensano sempre troppo ai dettagli: le scarpe, il colore della maglia, la fascetta per i capelli, l'arma, la racchetta, il pallone e via dicendo. L'esempio, in questo senso, è Michael Schumacher. È sempre stato considerato il più grande perché ha dedicato gran parte del suo tempo lavorativo alla messa a punto della macchina. Il corpo è una macchina che deve essere messa a punto sempre, come una Ferrari".
Sesso, figli, amore. Anche questo deve essere programmato da una atleta donna?
"Ci sono due aspetti da considerare. L'atleta e chi lavora con lei. Una atleta in genere non condivide con lo staff la sua vita sessuale, l'utilizzo dei contraccettivi per esempio. E troppo spesso gli allenatori, i dirigenti, non sono consapevoli e non si informano di quelle che sono le scelte che un atleta fa in questo campo. Eppure è importante.".
Oggi lei dirige un centro di riabilitazione post traumatica a Roma. Cosa direbbe ad una ragazza che inizia la carriera sportiva?
"Di chiedersi ogni giorno: come sto? Di conoscere il proprio corpo e la propria specificità".
Oggi lei è medico dello sport. Una passione giovanile o una scelta della maturità?
"Direi tutte e due. Da grande, quando già studiavo ginecologia, è successo che mi sono rotta il tendine d'Achille durante le Olimpiadi di Atlanta. Lì ho cambiato la mia specializzazione e mi sono avvicinata al mondo della riabilitazione. Così seguo le due mie passioni: lo sport ed il mondo femminile".
fonte: www.repubblica.it
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